giovedì 31 luglio 2008

La resistenza Possibile


fonte: il manifesto 30/07/2008


Aníbal Quijano




Dalla metà del '73 il modello del potere globale colonial-moderno ha avviato un processo di radicale riconfigurazione dai connotati nettamente contro-rivoluzionari. Mediante la disoccupazione di massa ha portato i lavoratori a una sconfitta di portata planetaria. Con la dissoluzione del dispotismo burocratico (il cosiddetto «campo socialista») e l'implosione finale dell'Urss, ha eliminato i suoi rivali nella corsa all'egemonia mondiale, causando così anche la dissoluzione di movimenti e organizzazioni che rispetto all'Urss erano realmente critici e antagonisti. Di fatto, le tendenze più profonde che caratterizzano adesso questo modello si sono potute sviluppare praticamente senza incontrare resistenza fino alla metà dell'ultimo decennio del XX secolo.Questo processo, che implica un nuovo periodo storico di portata pari alla cosiddetta «rivoluzione industriale borghese», sta conducendo tuttavia l'attuale realtà sociale verso una direzione storica praticamente opposta rispetto a quella realizzata allora. Non soltanto infatti le forme di dominazione, di discriminazione, di sfruttamento saranno - e lo sono già per la verità - sempre più brutali e violente, ma porteranno alla distruzione delle condizioni di vita del nostro pianeta, alla deliberata ed esasperata polarizzazione sociale, e all'estinzione per fame di gran parte della nostra specie. Inoltre, cosa ancor peggiore, si tratta di un processo che sta consolidando un senso comune egemonico, capace di rassegnarsi e di convivere con tutto questo finché può usarlo e consumarlo. In sostanza, si tratta di un processo contrario a quello che fu il progetto-cardine della modernità coloniale. Allo stesso tempo il capitalismo colonial-moderno è riuscito a produrre uno sviluppo scientifico-tecnologico traendo il massimo del profitto dalla nuova intelligenza dell'uomo arrivando a produrre beni materiali e immateriali, su scala mondiale, senza limiti preimposti.Stando così le cose dunque, il capitalismo colonial-moderno non produce e non produrrà né più lavoro né più salario - se non quello «precarizzato» e «flessibilizzato» - né più servizi pubblici o libertà civili: piuttosto tutto il contrario. Per questo motivo la schiavitù e l'assoggettamento sono in piena ri-espansione. Tuttavia, è ormai noto che la stessa tecnologia consentirebbe di produrre tutto ciò di cui ha bisogno la popolazione del mondo senza dover ricorrere alla dominazione, alla discriminazione, allo sfruttamento e alla violenza. Questo vuol dire che il capitalismo non solo è pericoloso, ma che non è più né utile né necessario. È, al contrario, prescindibile. Data la sua pericolosità, prescindere dal capitalismo colonial-moderno è una necessità urgente. In questa prospettiva, la fase in corso implica la crisi più profonda mai sofferta dal capitalismo colonial-moderno e colloca noi tutti in un vero e proprio bivio storico. Non è dunque più sufficiente resistere alla globalizzazione neo-liberista. Le conquiste che ci sono state sottratte negli ultimi 40 anni non saranno ripristinate. Ormai non basta più lottare contro l'imperialismo unipolare degli Stati Uniti, perché comincia a essercene un altro, multipolare - quello dell'Europa, della Cina, dell'India, della Russia e del Brasile -, che non sarà di certo meno brutale e violento. Adesso è necessario, anzi urgente, passare dalla resistenza all'alternativa. E questo è proprio ciò che stiamo facendo: l'America latina è il centro di questa nuova fase del movimento sociale mondiale contro il capitalismo colonial-moderno.Alle battaglie dei dominati e degli sfruttati del mondo industriale urbano, contro il neo-liberismo globalizzato, si sommano adesso, innanzitutto, le lotte degli «indigeni» di tutto il mondo, i più dominati tra le vittime della «Colonialità» del Potere Globale, in difesa delle loro risorse per la sopravvivenza, che sono proprio tali, ma erroneamente chiamate «risorse naturali» dalla prospettiva eurocentrica di «sfruttamento della natura»: l'acqua, le foreste, l'ossigeno, il resto degli esseri viventi, le piante alimentari e medicinali, insomma, tutto quello che gli indigeni hanno usato, prodotto, e riprodotto per migliaia di anni, e tutti i materiali che permettono la produzione della realtà sociale. Per questo motivo gli «indigeni» e tutti i settori della popolazione mondiale, cominciando dalla comunità scientifici e dagli intellettuali e professionisti della classe media, così come i lavoratori di tutto il mondo industriale, stanno scoprendo che, in virtù delle tendenze distruttive del capitalismo, queste risorse di sopravvivenza degli «indigeni» sono le stesse risorse per la difesa della vita sul pianeta e sono proprio ciò che il capitalismo colonial-moderno sta portando alla distruzione. Sta emergendo un'ampia coalizione sociale che può essere, e di fatto è, un nuovo movimento sociale mondiale. Partendo dalla continua riprova che l'attuale capitalismo colonial-moderno è un rischio imminente di distruzione della vita sul pianeta, comincia a scoprire anche che a causa del suo sviluppo scientifico-tecnologico, questo modello di potere non è solo pericoloso ma, alla fine, non necessario e inutile. È così cominciato un processo di uscita dalla «colonialità» della realtà sociale. Sta nascendo un nuovo orizzonte storico. Questo vuol dire innanzitutto, la nostra emancipazione dall'euro-centrismo, una forma di produrre soggettività (immaginario sociale, memoria storica e conoscenza) in modo distorto e «distorcente», che, a parte la violenza, è il più efficace strumento di controllo che il capitalismo coloniale-moderno ha per mantenere la realtà sociale della specie umana nell'ambito di questo modello di potere. Questa emancipazione è esattamente quel che si sta verificando: ovvero la scoperta che le risorse per la sopravvivenza degli «indigeni» del mondo sono le stesse risorse vitali per il pianeta intero, e insieme la scoperta, negli stessi nostri movimenti di lotta, che possediamo la tecnologia sociale per prescindere dal capitalismo.Stiamo anche imparando a organizzarci e a mobilitarci da questa stessa prospettiva: produciamo ormai le nostre realtà sociali, liberate dalla dominazione, dalla discriminazione razzista, etnica e sessista; produciamo nuove forme di comunità, come nostra principale forma di autorità politica; produciamo libertà e autonomia per ogni individuo come espressione della diversità sociale e della solidarietà; decidiamo democraticamente ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che vogliamo produrre; ci serviamo della tecnologia utilizzandola ai massimi livelli per produrre i beni e i valori che ci servono; diffondiamo la reciprocità nella distribuzione del lavoro, dei prodotti e dei servizi; produciamo, da questo livello sociale, un'etica sociale alternativa a quella del mercato e del profitto colonial-capitalista. In sintesi: ciò che significa la produzione democratica di una società democratica. Questo è il bivio storico del periodo che stiamo vivendo e che stiamo configurando con le nostre lotte e il nostro movimento. È tempo di lotte e di scelte. L'America latina è stato il luogo originario in cui si è formato il capitalismo colonial-moderno. Oggi finalmente è il centro stesso della resistenza mondiale e della produzione di alternative contro questo modello di potere.(L'autore è uno dei maggiori sociologi latino-americani. E' professore all'Università San Marcos di Lima, dove dirige il Centro de Investigaciones sociales e alla Binghmanton University di New York. Ha insegnato anche all'Università Colombia, Ucla e Berkley negli Stati uniti e all'Unam di Città del Messico. E' uno degli animatori del Forum sociale mondiale di Porto Alegre. Traduzione di Valentina Manacorda

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