giovedì 31 luglio 2008

Foro Sociale delle Americhe


In attesa del Foro Sociale delle Americhe, che si svolgerà in Guatemala dal 7 al 12 ottobre, diffondiamo l'appello alla partecipazione dei movimenti latino americani .


L'epoca che stiamo vivendo non potrebbe essere più complessa e sfortunata. Insistere sulle cause ed i loro effetti è concentrarsi sempre sulle stesse cose. Alcune volte per questa disperazione che ci invade, non si parla delle alternative emergenti difronte alle grandi sfide che l'umanità deve affrontare, grazie alla politica economica che ha incatenato al sottosuolo i denominati paesi in via di sviluppo. Risulta, quindi, molto stimolante sapere che ancora c'è molta energia, ottimismo e speranza in ampi settori sociali che non smettono la ricerca delle loro utopie. Probabilmente per qualcuno questi temi non sono una novità. Per altri saranno una perdita di tempo o un'idiozia. Comunque vale la pena di riflettere sul grande vantaggio che può rappresentare l'articolazione dei movimenti sociali nel continente, per poter coordinare le strategie di lotta in opposizione al modello neoliberale che ha portato alla rovina anche i suoi sostenitori. La scorsa settimana si è reso officiale che il Guatemala sarà la sede del III Forum Sociale delle Americhe, che fa parte del Forum Sociale Mondiale, iniziato nel 2001, come espressione della partecipazione cittadina a livello planetario. Questo evento che riguarda tutto il continente, è un ampio spazio di costruzione di strategie che da seguito a due esperienze anteriori celebrate in Ecuador ed in Venezuela, ed è pensata per promuovere il dibattito e lo scambio di esperienze delle lotte che i popoli hanno promosso per affrontare i processi di globalizzazione che "caratterizzano il modello neoliberale". Guatemala unisce una problematica storico-strutturale legata all'oppressione, sfruttamento, razzismo, discriminazione ed impunità, avendo però un percorso di lotta senza interruzioni durante secoli, contro ad enormi conflitti sociali che ci caratterizzano come uno dei paesi con maggiore disuguaglianza nel mondo. Sarà un incontro di gente che sa quello che è, che è convinta della legittimità dei propri reclami. Sono quelli che vengono trascurati, poco ascoltati, che non cercano vendetta ne chiedono ricchezza o indennizzi per i danni causati alle loro comunità. Si riuniranno per accumulare le forze per poter resistere alla povertà, per conquistare l'uguaglianza tra i sessi ed il rispetto della diversità. Si riuniranno per cercare le soluzioni ai molti mali che colpiscono la maggioranza e il nostro pianeta. E' un incontro per condividere i sogni. Il movimento indigeno continentale, uno dei più organizzati e che si caratterizza per la propria resistenza, avrà una partecipazione rilevante nell'evento, che includerà tematiche strategiche come l'acqua, l'equità tra i sessi, l'ambiente e l'energia, le migrazioni, i diritti umani ed il diritto d'informazione. L'Università guatemalteca di San Carlos sarà la sede dove albergherà questo torrente d'inquietudini, dove si realizzeranno conferenze, tavole rotonde, conversazioni ed attività culturali. E' un'opportunità per gli studenti, le organizzazioni sociali ed i mezzi di comunicazione, generalmente così indifferenti e scettici a questi eventi, di deporre la loro sfiducia e di guardare con mente positiva che un altro mondo è possibile.

La resistenza Possibile


fonte: il manifesto 30/07/2008


Aníbal Quijano




Dalla metà del '73 il modello del potere globale colonial-moderno ha avviato un processo di radicale riconfigurazione dai connotati nettamente contro-rivoluzionari. Mediante la disoccupazione di massa ha portato i lavoratori a una sconfitta di portata planetaria. Con la dissoluzione del dispotismo burocratico (il cosiddetto «campo socialista») e l'implosione finale dell'Urss, ha eliminato i suoi rivali nella corsa all'egemonia mondiale, causando così anche la dissoluzione di movimenti e organizzazioni che rispetto all'Urss erano realmente critici e antagonisti. Di fatto, le tendenze più profonde che caratterizzano adesso questo modello si sono potute sviluppare praticamente senza incontrare resistenza fino alla metà dell'ultimo decennio del XX secolo.Questo processo, che implica un nuovo periodo storico di portata pari alla cosiddetta «rivoluzione industriale borghese», sta conducendo tuttavia l'attuale realtà sociale verso una direzione storica praticamente opposta rispetto a quella realizzata allora. Non soltanto infatti le forme di dominazione, di discriminazione, di sfruttamento saranno - e lo sono già per la verità - sempre più brutali e violente, ma porteranno alla distruzione delle condizioni di vita del nostro pianeta, alla deliberata ed esasperata polarizzazione sociale, e all'estinzione per fame di gran parte della nostra specie. Inoltre, cosa ancor peggiore, si tratta di un processo che sta consolidando un senso comune egemonico, capace di rassegnarsi e di convivere con tutto questo finché può usarlo e consumarlo. In sostanza, si tratta di un processo contrario a quello che fu il progetto-cardine della modernità coloniale. Allo stesso tempo il capitalismo colonial-moderno è riuscito a produrre uno sviluppo scientifico-tecnologico traendo il massimo del profitto dalla nuova intelligenza dell'uomo arrivando a produrre beni materiali e immateriali, su scala mondiale, senza limiti preimposti.Stando così le cose dunque, il capitalismo colonial-moderno non produce e non produrrà né più lavoro né più salario - se non quello «precarizzato» e «flessibilizzato» - né più servizi pubblici o libertà civili: piuttosto tutto il contrario. Per questo motivo la schiavitù e l'assoggettamento sono in piena ri-espansione. Tuttavia, è ormai noto che la stessa tecnologia consentirebbe di produrre tutto ciò di cui ha bisogno la popolazione del mondo senza dover ricorrere alla dominazione, alla discriminazione, allo sfruttamento e alla violenza. Questo vuol dire che il capitalismo non solo è pericoloso, ma che non è più né utile né necessario. È, al contrario, prescindibile. Data la sua pericolosità, prescindere dal capitalismo colonial-moderno è una necessità urgente. In questa prospettiva, la fase in corso implica la crisi più profonda mai sofferta dal capitalismo colonial-moderno e colloca noi tutti in un vero e proprio bivio storico. Non è dunque più sufficiente resistere alla globalizzazione neo-liberista. Le conquiste che ci sono state sottratte negli ultimi 40 anni non saranno ripristinate. Ormai non basta più lottare contro l'imperialismo unipolare degli Stati Uniti, perché comincia a essercene un altro, multipolare - quello dell'Europa, della Cina, dell'India, della Russia e del Brasile -, che non sarà di certo meno brutale e violento. Adesso è necessario, anzi urgente, passare dalla resistenza all'alternativa. E questo è proprio ciò che stiamo facendo: l'America latina è il centro di questa nuova fase del movimento sociale mondiale contro il capitalismo colonial-moderno.Alle battaglie dei dominati e degli sfruttati del mondo industriale urbano, contro il neo-liberismo globalizzato, si sommano adesso, innanzitutto, le lotte degli «indigeni» di tutto il mondo, i più dominati tra le vittime della «Colonialità» del Potere Globale, in difesa delle loro risorse per la sopravvivenza, che sono proprio tali, ma erroneamente chiamate «risorse naturali» dalla prospettiva eurocentrica di «sfruttamento della natura»: l'acqua, le foreste, l'ossigeno, il resto degli esseri viventi, le piante alimentari e medicinali, insomma, tutto quello che gli indigeni hanno usato, prodotto, e riprodotto per migliaia di anni, e tutti i materiali che permettono la produzione della realtà sociale. Per questo motivo gli «indigeni» e tutti i settori della popolazione mondiale, cominciando dalla comunità scientifici e dagli intellettuali e professionisti della classe media, così come i lavoratori di tutto il mondo industriale, stanno scoprendo che, in virtù delle tendenze distruttive del capitalismo, queste risorse di sopravvivenza degli «indigeni» sono le stesse risorse per la difesa della vita sul pianeta e sono proprio ciò che il capitalismo colonial-moderno sta portando alla distruzione. Sta emergendo un'ampia coalizione sociale che può essere, e di fatto è, un nuovo movimento sociale mondiale. Partendo dalla continua riprova che l'attuale capitalismo colonial-moderno è un rischio imminente di distruzione della vita sul pianeta, comincia a scoprire anche che a causa del suo sviluppo scientifico-tecnologico, questo modello di potere non è solo pericoloso ma, alla fine, non necessario e inutile. È così cominciato un processo di uscita dalla «colonialità» della realtà sociale. Sta nascendo un nuovo orizzonte storico. Questo vuol dire innanzitutto, la nostra emancipazione dall'euro-centrismo, una forma di produrre soggettività (immaginario sociale, memoria storica e conoscenza) in modo distorto e «distorcente», che, a parte la violenza, è il più efficace strumento di controllo che il capitalismo coloniale-moderno ha per mantenere la realtà sociale della specie umana nell'ambito di questo modello di potere. Questa emancipazione è esattamente quel che si sta verificando: ovvero la scoperta che le risorse per la sopravvivenza degli «indigeni» del mondo sono le stesse risorse vitali per il pianeta intero, e insieme la scoperta, negli stessi nostri movimenti di lotta, che possediamo la tecnologia sociale per prescindere dal capitalismo.Stiamo anche imparando a organizzarci e a mobilitarci da questa stessa prospettiva: produciamo ormai le nostre realtà sociali, liberate dalla dominazione, dalla discriminazione razzista, etnica e sessista; produciamo nuove forme di comunità, come nostra principale forma di autorità politica; produciamo libertà e autonomia per ogni individuo come espressione della diversità sociale e della solidarietà; decidiamo democraticamente ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che vogliamo produrre; ci serviamo della tecnologia utilizzandola ai massimi livelli per produrre i beni e i valori che ci servono; diffondiamo la reciprocità nella distribuzione del lavoro, dei prodotti e dei servizi; produciamo, da questo livello sociale, un'etica sociale alternativa a quella del mercato e del profitto colonial-capitalista. In sintesi: ciò che significa la produzione democratica di una società democratica. Questo è il bivio storico del periodo che stiamo vivendo e che stiamo configurando con le nostre lotte e il nostro movimento. È tempo di lotte e di scelte. L'America latina è stato il luogo originario in cui si è formato il capitalismo colonial-moderno. Oggi finalmente è il centro stesso della resistenza mondiale e della produzione di alternative contro questo modello di potere.(L'autore è uno dei maggiori sociologi latino-americani. E' professore all'Università San Marcos di Lima, dove dirige il Centro de Investigaciones sociales e alla Binghmanton University di New York. Ha insegnato anche all'Università Colombia, Ucla e Berkley negli Stati uniti e all'Unam di Città del Messico. E' uno degli animatori del Forum sociale mondiale di Porto Alegre. Traduzione di Valentina Manacorda

venerdì 25 luglio 2008

Adozioni o rapimenti?


Il test del Dna, per la prima volta, ha provato che un bambino adottato attraverso i canali ufficiali era stato rapito e sottratto alla sua madre naturale. Ana Escobar ha raccontato la sua storia: un anno fa, sua figlia fu rapita. Durante le sue ricerche vide la bambina insieme a una donna statunitense che l'aveva adottata. La bambina aveva un falso certificato di nascita, ma il test del Dna ha provato il legame di sangue tra Ana e Esther, la bambina, che adesso è ritornata con la sua madre naturale. Il governo, a causa dei numerosi rapimenti, due mesi fa ha sospeso tutte le pratiche di adozione. Il Guatemala è secondo solo alla Cina per numero di bambini adottati da genitori statunitensi e il mercato delle "adozioni nere" ha un fatturato di decine di milioni di dollari. Solo l'anno scorso più di 4.700 bambini sono stati adottati da americani e decine di madri hanno denunciato il rapimento dei propri bambini.

giovedì 24 luglio 2008

INTERVISTA ALLA ECONOMISTA PEREZ-VITORIA


All'analisi del mondo contadino e a quella delle devastazioni sociali e ambientali provocate dall'industrializzazione dell'agricoltura, Silvia Perez-Vitoria - economista, sociologa e documentarista - ha dedicato vari libri (fra i volumi tradotti dal francese da Jaca Book, Disfare lo sviluppo per rifare il mondo e Il ritorno dei contadini). Ma se cominci una domanda dicendo: «Lei è un'economista...» ti blocca subito per dire: «Sì, ma sto guarendo». Una battuta che - come preciserà nel corso dell'intervista e come chiariscono i suoi studi - riassume l'intento di mettere al centro della critica «alla mercificazione del vivente» l'essere umano nella sua complessità. «A Doha - afferma infatti - i grandi del pianeta parlano di agricoltura, ma i contadini non esistono, anche se sono loro a nutrire il mondo. I burrascosi negoziati del Wto mostrano i rapporti di squilibrio che esistono fra gli stati ma non affrontano il problema di fondo. Le ricette che propone Doha non regolano i problemi del pianeta, ma li moltiplicano. L'agricoltura per come viene intesa nel modello di sviluppo capitalista (ottusamente industrialista, produttivista ecc.) non porta più cibo e lavoro per tutti, ma impoverisce gli umani e l'ambiente. In questa prospettiva la battaglia del Brasile, che dedica grandi superfici meccanizzate alla produzione di soia, appare più quella di contrastare la concorrenza del mercato europeo piuttosto che vincere la fame nel proprio paese». L'alternativa, per la studiosa, risiederebbe invece in «un altro tipo di agricoltura che favorisca i piccoli produttori e i saperi locali. Non sono gli ingegneri agronomi che regolano i problemi, ma i contadini che conoscono il loro territorio. La biodiversità non si protegge con gli Ogm, ma proteggendo le sementi locali. Sono stata di recente in Toscana - racconta Silvia Perez - nella valle di Garfagnana c'è un tipo di mais, il formentone ottofile, che si dice sia stato importato da Cristoforo Colombo e che i contadini hanno preservato». Cosa diversa, invece, è per la studiosa, «la banca mondiale dei semi che tra poco verrà aperta in Norvegia con il finanziamento delle multinazionali che, dopo aver distrutto le varietà, dicono di volerle preservare artificialmente». I negoziati di Doha hanno ripreso quota dopo la gravissima crisi alimentare. Il protezionismo proposto da alcuni governi africani, sarebbe allora una soluzione? «Un certo livello di protezionismo è necessario - risponde la studiosa - ma bisogna distinguere fra protezionismo dei governi e del mercato e protezionismo di chi produce ciò di cui abbisogna ed eventualmente mette in commercio le eccedenze. In questo sistema di mercato, l'agricoltura industriale è estremamente dipendente non solo dalle sovvenzioni, ma dal petrolio, dai prodotti chimici eccetera. Questo vale persino per un paese come la Francia». L'integrazione del mercato mondiale, invece «rende gli agricoltori incapaci di controllare le condizioni di vendita dei propri prodotti, i prezzi imposti da un insieme di agenti definiti forze di mercato, e da numerosi intermediari quali centrali d'acquisto, grossisti, aziende multinazionali. Più la vendita si allontana dai luoghi di produzione - sostiene la studiosa - più si moltiplicano i mediatori e diventa impossibile controllare il prezzo, e i venditori sono i primi a dettare legge». Tutti i lavori di Silvia Perez, ruotano intorno alla ricerca di nuovi modelli e dei soggetti in grado di imporli a una realtà che mette al centro gli interessi dei grandi potentati. Dopo le rivolte contro il caro cibo, le chiediamo, quali sono i soggetti del cambiamento? «I 2/3 delle persone che hanno fame nel mondo sono contadini - riprende la studiosa - la risposta delle Nazioni unite e del Wto dice che bisogna inviare più sementi e qualche finanziamento che viene condizionato all'imposizione del solito modello di sviluppo. Invece organizzazioni come Via Campesina o i Sem Terra in Brasile indicano un'altra via». Quale? «Quella di una nuova solidarietà e di una nuova ridistribuzione delle risorse. Spero - dice Perez - in un cambiamento di rapporti di forze, in India, in Africa ci sono movimenti importanti che riflettono e cercano di far passare una nuova visione dell'agricoltura. Si potrebbe dire - aggiunge - che in Brasile esistano due ministeri dell'agricoltura: uno quello ufficiale e l'altro quello che, dal basso, costruisce alternativa e nuovi rapporti di forze. I contadini sono una risorsa fondamentale».L'alternativa, quindi è ancora una volta «far prendere coscienza a tutti che l'agricoltura è una questione che riguarda il futuro del pianeta e non solo quello deicontadini. E la proposta che dovremo riprendere forte e chiaro nei confronti di questi vertici, è quella avanzata da Via Campesina: imporre ai governi dei paesi non avanzati di uscire dall'Organizzazione del commercio».

martedì 22 luglio 2008

La soluzione è la pillola del giorno dopo?


Introdotta lo scorso anno sul mercato indiano come farmaco da vendersi su ricetta medica, la pillola del giorno dopo è ancora per lo più sconosciuta nel paese, dove solo una donna su 100 ne conosce il funzionamento, segnala Narendra Malhotra, presidente della Federazione delle Società indiane di ostetricia e ginecologia (FOGSI) ...continua

San Rubinetto

Una volta l’acqua in bottiglia poteva essere venduta solo in farmacia, poi la legge fu cambiata e complice l’informazione corrotta, la moda portò a trasformare gli italiani nei maggiori consumatori di acqua in bottiglia AL MONDO! Per esempio lo sapevate che nel 2005 è stata ritirata l’acqua dell’Umana (per infanti) dalle farmacie per inquinamento da cloroformio?!E lo sapevi che l’acqua della bottiglia viene prelevata esattamente da dove arriva l’acqua del rubinetto? Cioè dalle falde acquifere, non sgorga dalla montagna!Ma non è finita, l’acqua dal rubinetto è corrente e prelevata in giornata, l’acqua in bottiglia sta in giro mesi, magari esposta al sole, in bottigliette di plastica.Sapete quanto spendeva l’acqua Vera nel 2001 di concessioni per poter prelevare l’acqua dalla falda? 3.000 euro in totale, quando il suo fatturato non è in migliaia di euro, ma in miliardi!!Mentre l’acqua del rubinetto è controllata dall’Asl una volta al mese, queste multinazionali dell’acqua, se la AUTO-certificano una volta ogni 3-4 anni. E molto molto altro ancora....

La produzione di armi in Italia


Luigi Barbato
Fonte: Archivio Disarmo - 08 gennaio 2008
dalla Prefazione di Maurizio Simoncelli

L'industria militare italiana è andata profondamente trasformandosi nel corso degli ultimi anni sia in relazione alle mutate condizioni di mercato, sia ai nuovi assetti internazionali, che richiedono una maggiore capacità di operare su scala globale. Per questo sia negli Stati Uniti, sia in Europa si sono andati costruendo pochi grandi gruppi industriali che operano sinergicamente per massimizzare i profitti, per razionalizzare le strutture produttive e per ridurre i costi. L'Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, sin dalla sua fondazione, segue con attenzione la produzione militare, conscio della particolare delicatezza della materia anche in relazione alle esportazioni che a volte si sono rivolte verso paesi oggetto di preoccupazione da parte di istituzioni e di organismi internazionali in merito al rispetto dei diritti umani e a situazioni di conflittualità più o meno latente. Il rapporto "La produzione di armi in Italia" di Luigi Barbato intende fotografare questo settore al termine del 2007, cercando di offrire un quadro il più possibile esaustivo sulle diverse società del comparto (assetti produttivi, occupazionali, tecnologici, ecc.). In questa complessa panoramica è opportuno sottolineare come in diversi casi sia rilevabile una produzione duale, cioè con applicazioni possibili sia campo militare, sia in quello civile, che stanno a dimostrare le potenzialità (non sempre sfruttate al massimo) di questo comparto anche nel settore civile (beni culturali, sicurezza stradale, protezione ambientale, energie alternative ecc.).

Note:
I Papers dell'istituto di ricerche Archivio Disarmo sono pubblicato sul sito http://www.archiviodisarmo.it/

Piogge e alluvioni hanno provocato 60 vittime e migliaia di senza tetto

Almeno ventuno persone sono morte e altre risultano disperse dopo gli smottamenti che si sono verificati ieri in due comunità dell'est del Guatemala, per le forti piogge che continuano da giugno in tutto il Paese. A El Campanario, nel comune di La Unión Zacapa, è franata una collina su un gruppo di case, dove sono rimaste uccise 12 persone tra cui 9 bambini, e nove morti sono stati contati nel villaggio vicino di Lancopoy. La Unión Zacapa, un paese di 25mila abitanti, tra i più poveri del Paese risulta isolato per il crollo di ponti e l'imparticabilità delle strade. Hugo Arvizù, del Coordinamento nazionale per la riduzione dei disastri, ha riferito che nelle ultime 24 ore le intense precipitazioni hanno fatto straripare i fiumi, isolando 16 centri abitati. Si calcola per ora che le vittime del maltempo siano almeno 60, una decina i dispersi e migliaia i senza tetto.

venerdì 4 luglio 2008

Robin Hood dimezza i fondi per i poveri del mondo


Mentre il ministro degli Esteri, Franco Frattini, auspica in un'audizione davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato che si faccia "una buona legge di riforma della cooperazione" e che "sia rilanciata fortemente quella bilaterale", le ong ActionAid e il Cocis denunciano i tagli delle risorse che rischiano di far sparire entro tre anni la cooperazione allo sviluppo italiana...continua

Borse 'solidali' per le famiglie più povere


Per far fronte alla forte crisi alimentare, dovuta all' eccessivo aumento del prezzo dei cereali promosso dal presidente Alvaro Colom, le famiglie più povere di Città del Guatemala riceveranno le 'Bolsas solidarias'. Il presidente e sua moglie hanno dato il via alla distribuzione delle 'borse solidali' nella periferia nord della capitale. Ogni famiglia potrà beneficiare di cinque chili di fagioli, di riso, due chili e mezzo di farina di mais e di un preparato ad alto valore nutrizionale e due litri di olio vegetale. "Questo programma è una priorità, anche se abbiamo impiegato tempo a prepararlo, ma è solo l'inizio" ha detto Colom sottolineando che sono misure "assolutamente gratuite". Inoltre sarà disponibile un numero telefonico speciale per i cittadini qualora ci fossero anomalie nella consegna degli alimenti.

mercoledì 2 luglio 2008

Il Debito con le comunità indigene deve essere saldato


Il Coordinamento Andino delle Organizzazioni Indigene (CAOI) ha divulgato il 24 giugno un documento nel quale si richiede che gli Stati Europei riconoscano il debito storico che hanno con i popoli indigeni e che si costituisca un Tribunale Internazionale per il giudizio dei reati economici ed ambientali commessi. La rivendicazione della CAOI si basa sulla risoluzione del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) che, il 15 maggio a Lima, in Perù, ha discusso sul tema, decidendo per la colpevolezza degli europei. Durante i giorni 13 e 14 maggio, alcuni testimoni hanno denunciato le violazioni dei diritti umani e dell'ambiente commesse dalle multinazionali europee in America Latina. Adesso, con la sentenza del TPP, gli indigeni chiedono che il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite scelga un relatore speciale, il più rapidamente possibile, per presentare una relazione all'Assemblea Generale dell'Onu, dove "compaia il concetto di debito illegittimo, ecologico e storico; così come la qualificazione delle violazioni nei riguardi dei diritti economici, sociali e culturali contro le persone e i popoli, da parte dei governi, istituzioni finanziarie e corporazioni multinazionali". Per il TPP, il debito è stato generato dall'invasione, la conquista e la colonizzazione dei territori dal secolo XV. Sei secoli fa, sono state rubate le terre, fu introdotto la schiavitù indigena, uccisi i popoli originari, e attuato un genocidio culturale. Attualmente l'invasione è effettuata dalle grandi multinazionali, che sono utili ad una minoranza e distruggono terre, contaminano fiumi, gettano prodotti chimici nel suolo e contaminano le acque. Tra queste sono incluse: L'impresa spagnola FENOSA, che agisce nel Cauca (Colombia), nel fiume Archicaya, Valle del Cauca; l'Impresa Mineraria Majaz, della Gran Bretagna, che agisce nel nord di Piura, in Perù; la spagnola Repsol, che sta distruggendo gli ecosistemi in varie parti della Colombia, Ecuador, Bolivia ed Argentina.
Le imprese sono responsabili anche dello sfollamento dei popoli originari dalle loro terre. Le violenze sono perpetrate fisicamente dall'esercito, la polizia e da gruppi armati irregolari. L'Unione Fenosa è di nuovo colpevole. Nelle operazioni da lei compiute in Colombia, Guatemala, Messico e Nicaragua, non ha mantenuto le promesse fatte a seguito dello sfollamento degli indios, dei contadini e degli afrodiscendenti. Da parte sua, la Shell, è responsabile della repressione illegale delle comunità in Brasile ed in Argentina, a Loma de la Lata e a Neuquén. Per la stessa cosa, la Shell è stata denunciata in Irlanda. La Repsol è stata accusata adi non aver rispettato i diritti dei Mapuche, Paynemil e Kaxipayin dell'Argentina, Bolivia e Ecuador. Le azioni di queste imprese colpiscono tutta la società, ma gli indigeni e i contadini sono pregiudicati in maniera speciale e la biodiversità è in pericolo. Il comportamento delle imprese porta alla distruzione delle comunità indigene ed afrodiscendenti, la qualcosa mette in pericolo la biodiversità, della quale questi popoli sono i principali protettori.
Per tanto la CAOI chiede a tutti gli Stati ed i Governi dell'America Latina e dei Caraibi di: assicurare la presenza rapida ed efficente della giustizia; promuovere ed appoggiare, con le risorse necessarie, il sistema giuridico, per ricercare e punire i reati; ed applicare le misure ispirate al principio internazionalmente riconosciuto "di consenso libero, previo ed informato degli attori sociali, comunità locali e popoli indigeni".

Il MERCOSUR affronta la crisi alimentare


Come affrontare la crisi alimentare dovuta all’impennata dei prezzi di generi di prima necessità su scala mondiale, rilanciando il processo di integrazione regionale e adottando una posizione comune sulle ultime misure europee relative all’immigrazione: sono i principali argomenti nell’agenda del 35° vertice del Mercato comune del paesi del Cono Sud (Mercosur) che si è aperta ieri nella località settentrionale argentina di San Miguel de Tucumán...continua