giovedì 24 luglio 2008

INTERVISTA ALLA ECONOMISTA PEREZ-VITORIA


All'analisi del mondo contadino e a quella delle devastazioni sociali e ambientali provocate dall'industrializzazione dell'agricoltura, Silvia Perez-Vitoria - economista, sociologa e documentarista - ha dedicato vari libri (fra i volumi tradotti dal francese da Jaca Book, Disfare lo sviluppo per rifare il mondo e Il ritorno dei contadini). Ma se cominci una domanda dicendo: «Lei è un'economista...» ti blocca subito per dire: «Sì, ma sto guarendo». Una battuta che - come preciserà nel corso dell'intervista e come chiariscono i suoi studi - riassume l'intento di mettere al centro della critica «alla mercificazione del vivente» l'essere umano nella sua complessità. «A Doha - afferma infatti - i grandi del pianeta parlano di agricoltura, ma i contadini non esistono, anche se sono loro a nutrire il mondo. I burrascosi negoziati del Wto mostrano i rapporti di squilibrio che esistono fra gli stati ma non affrontano il problema di fondo. Le ricette che propone Doha non regolano i problemi del pianeta, ma li moltiplicano. L'agricoltura per come viene intesa nel modello di sviluppo capitalista (ottusamente industrialista, produttivista ecc.) non porta più cibo e lavoro per tutti, ma impoverisce gli umani e l'ambiente. In questa prospettiva la battaglia del Brasile, che dedica grandi superfici meccanizzate alla produzione di soia, appare più quella di contrastare la concorrenza del mercato europeo piuttosto che vincere la fame nel proprio paese». L'alternativa, per la studiosa, risiederebbe invece in «un altro tipo di agricoltura che favorisca i piccoli produttori e i saperi locali. Non sono gli ingegneri agronomi che regolano i problemi, ma i contadini che conoscono il loro territorio. La biodiversità non si protegge con gli Ogm, ma proteggendo le sementi locali. Sono stata di recente in Toscana - racconta Silvia Perez - nella valle di Garfagnana c'è un tipo di mais, il formentone ottofile, che si dice sia stato importato da Cristoforo Colombo e che i contadini hanno preservato». Cosa diversa, invece, è per la studiosa, «la banca mondiale dei semi che tra poco verrà aperta in Norvegia con il finanziamento delle multinazionali che, dopo aver distrutto le varietà, dicono di volerle preservare artificialmente». I negoziati di Doha hanno ripreso quota dopo la gravissima crisi alimentare. Il protezionismo proposto da alcuni governi africani, sarebbe allora una soluzione? «Un certo livello di protezionismo è necessario - risponde la studiosa - ma bisogna distinguere fra protezionismo dei governi e del mercato e protezionismo di chi produce ciò di cui abbisogna ed eventualmente mette in commercio le eccedenze. In questo sistema di mercato, l'agricoltura industriale è estremamente dipendente non solo dalle sovvenzioni, ma dal petrolio, dai prodotti chimici eccetera. Questo vale persino per un paese come la Francia». L'integrazione del mercato mondiale, invece «rende gli agricoltori incapaci di controllare le condizioni di vendita dei propri prodotti, i prezzi imposti da un insieme di agenti definiti forze di mercato, e da numerosi intermediari quali centrali d'acquisto, grossisti, aziende multinazionali. Più la vendita si allontana dai luoghi di produzione - sostiene la studiosa - più si moltiplicano i mediatori e diventa impossibile controllare il prezzo, e i venditori sono i primi a dettare legge». Tutti i lavori di Silvia Perez, ruotano intorno alla ricerca di nuovi modelli e dei soggetti in grado di imporli a una realtà che mette al centro gli interessi dei grandi potentati. Dopo le rivolte contro il caro cibo, le chiediamo, quali sono i soggetti del cambiamento? «I 2/3 delle persone che hanno fame nel mondo sono contadini - riprende la studiosa - la risposta delle Nazioni unite e del Wto dice che bisogna inviare più sementi e qualche finanziamento che viene condizionato all'imposizione del solito modello di sviluppo. Invece organizzazioni come Via Campesina o i Sem Terra in Brasile indicano un'altra via». Quale? «Quella di una nuova solidarietà e di una nuova ridistribuzione delle risorse. Spero - dice Perez - in un cambiamento di rapporti di forze, in India, in Africa ci sono movimenti importanti che riflettono e cercano di far passare una nuova visione dell'agricoltura. Si potrebbe dire - aggiunge - che in Brasile esistano due ministeri dell'agricoltura: uno quello ufficiale e l'altro quello che, dal basso, costruisce alternativa e nuovi rapporti di forze. I contadini sono una risorsa fondamentale».L'alternativa, quindi è ancora una volta «far prendere coscienza a tutti che l'agricoltura è una questione che riguarda il futuro del pianeta e non solo quello deicontadini. E la proposta che dovremo riprendere forte e chiaro nei confronti di questi vertici, è quella avanzata da Via Campesina: imporre ai governi dei paesi non avanzati di uscire dall'Organizzazione del commercio».

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