lunedì 8 settembre 2008

Guatemala: Stop a violenza, persecuzione, repressione ed impunità

Le Organizzazioni e le Reti Nazionali ed Internazionali ed i membri del Consiglio Emisferico del Foro Sociale delle Americhe, riunitesi in Guatemala, esprimono solidarietà ai compagni Juan Tiney del Coordinamento Nazionale Indigeno Contadino e Yuri Melini del CALAS, alle organizzazioni che appoggiano le lotte delle comunità e alle comunità in lotta. Esigiamo dalle istituzioni un'indagine sugli attentati dei quali sono stati vittime e sulla morte di altri compagni. Vogliamo la sicurezza che si puniscano coloro che si stanno servendo di questi mezzi violenti per evitare che continui il processo di opposizione alla consegna delle risorse naturali nelle mani delle compagnie nazionali e straniere che cercano solamente di arricchirsi con lo sfruttamento dei nostri tesori. Esigiamo la garanzia della sicurezza di tutti i compagni delle Organizzazioni Sociali e Professionali che stanno dimostrando il loro malumore nei confronti di questa politica. Esigiamo dal governo la revoca delle azioni che si stanno attuando a favore delle imprese nazionali e straniere che minacciano i territori e le risorse delle comunità indigene e del paese. Sollecitiamo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite a verificare la situazione e a prendere dei provvedimenti.
STOP A VIOLENZA, PERSECUZIONE, REPRESSIONE ED IMPUNITÀ SECTOR DE MUJERES, FLACSO, CNP TIERRA, AMARC, FGER, CNOC, WAQIB' KEJ, CONGCOOP, CONCAD, COLECTIVO UNIVERSITARIO REDES Y ORGANIZACIONES INTERNACIONALES COMITE HEMISFERICO DEL FORO SOCIAL AMERICAS

sabato 6 settembre 2008

Lev Tolstoj: maestro di nonviolenza cristiana


I principi fondamentali del pacifismo di Lev Tolstoj: nonviolenza, non resistenza al male, non-collaborazione, antimilitarismo, lavoro manuale per il pane, riscoperta del lavoro agricolo. Nell'autobiografia Gandhi scrivera': "La sua lettura mi entusiasmo'. Ne ebbi un'impressione indimenticabile. A quel tempo io credevo nella violenza. Quel libro mi curo' dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa"...continua

La crisi alimentare e il caro vita


Ormai non si arriva più a fine mese. Non si vive più. Anche nel ricco occidente la maggioranza della popolazione appare sempre più stremata nel tentativo di riuscire a sostenere una vita appena dignitosa. Sempre più frustrati dall'assenza di spazi sociali e comunitari condivisi. Sempre più precari nel lavoro come nelle vite di tutti i giorni, affannate da un'idea di tempo che non lascia spazio per nessuna aspirazione o sogno condiviso. Sempre più arrabbiati e apparentemente inermi davanti al fallimento di un modello di democrazia e di politica lontani anni luce dalle vite reali, dai problemi giornalieri, dalle insicurezze che producono paure, dalla solitudine sociale, dall'ansia rabbiosa che divora la convivenza quotidiana.

Nessuno è in grado di dare risposte efficaci alla crisi di sistema che in maniera strutturale coinvolge la nostra società nel suo complesso attirandola verso il basso. Non ultima la crisi alimentare mondiale che si traduce in un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, pagato dalle tasche di cittadini "normali" che così normali non si sentono più. Tutti anche in Italia si sono accorti degli aumenti spropositi dei beni di prima necessità. Aumenta tutto, dalla luce, al gas, al pane, alla pasta, all'acqua, agli affitti, ai biglietti. Un caro vita che appare come una spirale inarrestabile e fuori controllo. Come se nulla si potesse fare davanti alla crisi, politici e maggioranza dei media stendono pianti e accampano scuse sulla crisi vissuta da precari, famiglie, anziani, giovani e da quella classe "media" ormai risucchiata tra quelli che non riescono più a risparmiare.

La giustificazione che la "casta" dà della crisi suona più o meno così: "è colpa della crisi internazionale; ci attendono periodi difficili (ma quali erano quelli buoni?); c'è la crisi dell'economia statunitense; c'è la crescita di nuovi competitors sul mercato globale; il costo del lavoro è molto più basso in altri paesi; il terrorismo internazionale è un ostacolo enorme; la guerra in Irak e la minaccia iraniana; il governo non è abbastanza stabile; " ed altri bla bla bla di questo tipo. Invece le risposte che la “casta” offre per affrontare la crisi sono: "dobbiamo liberalizzare e privatizzare di più; dobbiamo essere più flessibili, diminuire le "rigidità" (saremmo noi...) del lavoro; sostenere le esportazioni; sostenere le imprese; maggiore sicurezza per le strade" e così via.

Ma la domanda che ci poniamo e che vorremmo porre è, ma chi sono i responsabili di questa situazione? Chi l'ha provocata? E soprattutto, c'è qualcuno che in questa lunga ed appena iniziata crisi economica si è arricchito? E chi e come è riuscito a farlo? Non sono dettagli di poco conto per comprendere le cause ed i responsabili che hanno prodotto questa famosa "crisi" che per molti si traduce nel fatto di entrare in un supermercato senza riuscire più a fare la spesa, così come a pagare l'affitto di casa o la rata del mutuo (per chi ha avuto la possibilità di farlo).

Del resto se un poveraccio ruba qualcosa da mangiare oppure occupa una casa perché non può pagare un affitto esagerato, viene denunciato o arrestato. Quando qualcuno precipita nella fame interi popoli, riduce alla miseria le vite di centinaia di milioni di cittadini, distrugge i nostri risparmi continuando a fare profitti a palate, perché non dovrebbe essere processato e incarcerato? Non è un crimine contro l'umanità affamare le persone, violare i diritti umani, provocare immani disastri ambientali, costringere a gigantesche migrazioni interi popoli precipitati nella miseria? Ed allora vogliamo giustizia. E vogliamo anche sapere la verità, non ci sembra di chiedere poi tanto.

L'attuale crisi internazionale, che si traduce in crisi alimentare, climatica e sociale, non è certo il risultato di un disastro naturale improvviso o di un incantesimo strano, ma il prodotto di decine di anni di liberalizzazioni commerciali, d'integrazione verticale della produzione, della lavorazione e della distribuzione fatta dalle grandi multinazionali. Le scelte politiche promosse negli ultimi trenta anni dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Organizzazione Mondiale del Commercio insieme a Stati Uniti e Unione Europea sono alla base della crisi di sistema. Ma non sono stati questi soggetti a gestire la "governance" mondiale in questi decenni, imponendo un modello economico e culturale basato sul liberismo, la competizione ed il mercato come unico luogo della democrazia? Ed allora anche la crisi alimentare e dei prezzi dei beni di prima necessità è frutto di queste scelte. Politiche che hanno significato una liberalizzazione su scala globale, apertura senza limiti dei mercati, privatizzazione delle terre destinate all'agricoltura locale e loro trasformazione in monocoltivazioni da esportazione, hanno condotto all'attuale crisi alimentare ed al caro vita.

Ma non avevano annunciato da trenta anni a questa parte ad ogni loro riunione che avrebbero eliminato il "problema" della fame nel mondo? Prima l'asticella era fissata agli anni '80, poi '90, poi gli obiettivi del millennio e poi il 2005 ed ora il 2015. Si sono create istituzioni come la FAO, banche, organizzazioni del commercio, club esclusivi come il G8, con l'obiettivo di rispondere ai problemi globali ed ora scopriamo che non solo i problemi ci sono e sono aumentati enormemente, ma che proprio le istituzioni preposte alla loro risoluzione sono responsabili dei nostri problemi. Ed ogni anno raccontano una scusa tutta nuova. Ad ogni scintillante e sempre più assediato meeting spostano l'asticella dei diritti ad un momento più lontano. Gli ultimi incontri della FAO e del G8 ne sono la riprova. Lo scorso giugno l'istituzione che dovrebbe risolvere il problema della fame del mondo ha mandato in scena nella sua conferenza internazionale a Roma l'ennesimo fallimento, l'ennesima ipocrisia raccontata agli oltre 850 milioni di persone affamate ed ha confermato il proprio impegno per mantenere una politica economica commerciale di dipendenza del sud dal nord e di appoggio alle multinazionali agroalimentari. Maggiore apertura dei mercati, maggiore flessibilità, aumento della produzione. Ancora una volta le stesse ricette responsabili della malattia. Ma come può essere che nessun politico voglia ricordare a Ban Ki- moon, segretario generale delle Nazioni Unite, che non ha senso aumentare la produzione per combattere la fame, visto che il problema non è l'assenza di cibo, anzi. Di cibo ce n'è anche troppo. Oggi si produce tre volte più cibo che negli anni sessanta. Mentre la popolazione è appena duplicata, il numero di quelli che muore di fame è raddoppiato. Ma come è possibile? Fesserie analoghe le afferma il numero due della FAO, Josè Maria Sumpsi, quando dice che si tratta di un problema creato dall'aumento dei consumi dei paesi emergenti come India, Cina o Brasile. Davanti a tanta ipocrisia condita da colossali menzogne utilizzate per dare risposte ad un problema così serio, c'è da chiedersi se non siano proprio la FAO, la BM, il WTO, il FMI o la burocrazia delle Nazioni Unite il vero ostacolo alla risoluzione dei nostri problemi.

Ma a chi fa gioco la democrazia degli sherpa? Chi si è arricchito? Oggi il monopolio di certe multinazionali ad ogni livello della catena produttiva alimentare, fino al commercio e distribuzione, ha prodotto utili da capogiro. Nonostante la crisi che colpisce noi poveri mortali, la Monsanto, la Nestlè, la DuPont, la Unilever, Wal Mart, Carrefour, denunciano guadagni di centinaia di miliardi di dollari. Gli utili di una sola di queste grandi imprese basterebbero a risolvere in un anno il problema della fame nel mondo. Ma non si può fare, perché questo sistema economico si fonda sulla necessità che molti rimangano esclusi, che molti lavorino come schiavi, che molti rinuncino ai loro diritti. Un'economia di tipo feudale per chi sta sotto, soft e tecnologica per chi sta sopra. I governi spinti dalle regole di questa economia feudale hanno smantellato le politiche agrarie che appoggiavano la produzione alimentare ed adesso appoggiano le grandi imprese. Lo sviluppo dell'agricoltura industriale ha distrutto l'ambiente e ipersfruttato i suoli, contribuendo all'aumento del riscaldamento globale (altra gigantesca minaccia che rischia di abbattersi principalmente sulla testa di quelli che stanno sotto). L'agricoltura industriale causa infatti tra il 17.4 ed il 32% dei gas ad effetto serra. E mentre le famiglie di agricoltori vengono cacciate dalle loro terre e finiscono nella povertà, la FAO con una faccia di bronzo senza pari annuncia in un documento che i poveri aumenteranno di altre 100 milioni di unità nei prossimi anni. Quasi un miliardo di esseri umani nel 2015 morirà di fame. Ma non doveva sparire la fame dalla faccia del pianeta? Una vergogna inaccettabile resa ancora più amara dal fatto che trattasi di una precisa condanna a morte eseguita preventivamente dagli organismi internazionali preposti alla nostra sicurezza e pagati (troppo) per risolvere i nostri problemi. Questa democrazia non solo è malata, ma è morta se ha bisogno di esistere sull'esclusione sistematica di miliardi di essere umani dai suoi vantaggi e dalla sua comunità privilegiata.

Ma c'è di peggio. La rivista inglese "The Guardian" ha denunciato all'opinione pubblica un documento tenuto segreto della BM che afferma come in realtà la responsabilità dell'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità sia il frutto della politica statunitense ed europea di sostegno agli agrocarburanti. E già, perchè pare che ultima delle menzogne in ordine di tempo sia proprio la questione degli agrocombustibili per risolvere la crisi legata ai cambiamenti climatici. Proprio durante il vertice del G8 in Giappone per discutere appunto di crisi alimentare e cambiamenti climatici, sono state confermate le misure che garantiranno il modello di produzione agricola intensivo, monoculturale e su larga scala per le materie prima destinate agli agrocarburanti. Tutto ciò causerà enormi impatti sociali ed ambientali nei paesi del sud del mondo che ne saranno i principali fornitori. Ulteriore conseguenza l'aumento dei prezzi e dell'instabilità economico e sociale per tutti noi anche da questo lato del mondo. Con una catastrofe climatica alle porte ed il prezzo del petrolio triplicato negli ultimi anni, invece di pensare a sviluppare e rendere efficace ed efficiente un sistema energetico alternativo basato sulle rinnovabili, la "casta" ha deciso di investire negli agrocombustibili per sostituire il petrolio. Se per farlo bisognerà cacciare dalle loro terre milioni e milioni di contadini ed indigeni, provocare guerre, danneggiare l'ambiente, far aumentare i prezzi al consumo e rendere le nostre vite sempre più precarie, poco importa. Solo così potranno continuare a mantenere lo stile di vita occidentale, ormai ammirato dagli stessi occidentali solamente in televisione o nelle pubblicità dei giornali.

Si chiama "de-ruralizzazione " il processo che spopola dalla terre milioni di contadini, sgretolandone l’autosufficienza e la sicurezza alimentare. Un trauma che per noi si traduce in caro vita e precarietà sociale, mentre per i contadini ed i coltivatori in dramma. Solo in uno stato dell’India chiamato Maharashtra i contadini che si sono suicidati a causa di queste misure adottate sono stati 3926 nel 2005! In tutta l’India si parla addirittura di oltre 150.000 contadini che si sono tolti la vita negli ultimi anni a causa dello sfollamento delle terre che consente lo sfruttamento intensivo del suolo da parte delle multinazionali, per lo più europee e statunitensi. E’ una cifra da capogiro, alla quale si stenta a credere. Purtroppo però questa è la cruda realtà di un modello economico e di scelte di politica agricola e alimentare che producono genocidi, oltre che crisi economica. Ma la politica dov'è? Chi difende i nostri interessi? Chi denuncia queste torbide istituzioni che insieme alle grandi multinazionali ed a politici ossequiosi in doppio petto sono in realtà i veri “fannulloni” e “minacce” di questa società? Purtroppo la politica è assente oppure impegnata in ritualità e pratiche antiche quanto sterili, appartenenti al secolo passato e che costituiscono una zavorra enorme per affrontare le sfide di questo secolo. L’auto-organizzazione ed il protagonismo sociale sono in questo momento le uniche strade percorribili per resistere e per provare ad immaginare un’idea altra di relazioni umane, prima che economiche. Per esempio la rete internazionale degli agricoltori, come quella chiamata Via Campesina, non solo si oppone all’organizzazione mondiale del commercio senza delegare il proprio dissenso ai governi, ma riesce anche a promuovere una nuova strategia di alimentazione. Dare innanzitutto il diritto ad ogni paese di stabilire i termini della propria produzione e consumo di prodotti alimentari, consolidare la forza dei piccoli proprietari terrieri proteggendoli dai danni di un sistema di importazione a basso costo, opporsi agli organismi geneticamente modificati, abolire le sovvenzioni dirette e indirette all’esportazione, mettere fine al regime imposto dall’OMC che permette di brevettare le semenze. Queste le proposte spinte a suon di marce, scioperi, mobilitazioni, al punto da far “cambiare” la posizione di diversi governi del sud del mondo, non più succubi delle decisioni della cupola mafiosa che gestisce la “governance” globale.

Quanto accade nei sud del mondo dovrebbe aiutare a farci riflettere su come ci si possa ancora organizzare e provare a cambiare anche qui da noi, finto e sbiadito occidente ormai immerso in problemi di sopravvivenza economica e individualismo sociale. Per esempio si può immaginare come si possa costruire un percorso fatto di sperimentazioni anche sul fronte della produzione e consumo di alimenti di prima necessità. Alla stessa maniera potremmo lavorare per riuscire a creare saldature tra coloro che sono oggi precari e impoveriti da questo sistema e, pur essendo all’oscuro delle cause della crisi, non accettano il tunnel dei sacrifici e del “realismo” che la casta vorrebbe imporci. Legare queste necessità e queste lotte dandogli anima, per restituirle a quell’orizzonte sbiadito chiamato politica che possiamo riaccendere solo con la passione delle nostre idee e lo slancio delle nostre azioni.