martedì 19 gennaio 2010

Terremoto

La terra non smette di tremare oltreoceano e dopo il devastante sisma di Haiti, anche in Guatemala una scossa ha fortunatamente solo turbato la quiete degli abitanti della capitale Guatemala City, senza causare praticamente alcun danno, nonostante la magnitudo di 6 gradi della scala Richter.

Luis Arriola, della stazione di sismologia del Guatemala ha confermato che l’epicentro è stato identificato a 101 chilometri dalla capitale e a circa 48 chilometri di profondità, al largo della costa dell’oceano Pacifico, nel dipartimento di Santa Rosa, vicino al confine con El Salvado.

“Abbiamo sentito una scossa abbastanza forte. Stiamo monitorando l’area, ma qui non ci sono danni. Il movimento è stato leggero ed è durato alcuni secondi”, ha detto Luis Medina dell’ufficio turistico guatemalteco a Puerto Quetzal, nella costa meridionale.

La scossa è stata percepita anche nella vicina San Salvador, ma oltre a far tremare le finestre e a spaventare la popolazione, non ci sono state fortunatamente altre conseguenze. Nella capitale salvadoregna, San Salvador, la gente è fuggita per le strade, soprattutto dagli edifici di una certa altezza.

Una donna, impiegata in una delle aziende che ha sede nel cosiddetto World Trade Center, nella zona di Colonia Escalòn, ha spiegato di aver lasciato il proprio ufficio appena percepita la scossa e che tutti quanti si sono comportati allo stesso modo e quindi le scale di sicurezza erano praticamente intasate.

Oltre alla paura causata dal recente sisma di Haiti, negli abitanti di El Salvador è purtroppo fresca la memoria dei due terremoti che nel 2001 hanno devastato il Paese, causando ingenti danni e numerosissime vittime.

mercoledì 6 gennaio 2010

Trenta morti affossano la libertà di stampa latinoamericana


Trenta. L'America Latina, il continente riemerso dall'oblio forzato in cui dittature e oppressione l'avevano forzatamente rilegato, sta finalmente tornando alla vita grazie a una maggioranza di governi progressisti che soffiano sulla polvere di un passato di morte e miseria, ma ancora c'è molta strada da fare. Quello che era il vecchio cortile dello Zio Sam, ha sì nuova vita e nuove speranze, ma le libertà finora conquistate devono ancora fare i conti con corruzione e violenze incancrenite. Un dato, fra gli altri, fotografa quanta strada c'è ancora da percorrere sulla via per la piena libertà: il 2009 ha visto trenta giornalisti morti ammazzati per aver osservato, raccontato, diffuso in nome del diritto di ogni cittadino a essere informato. Di questi, tredici sono stati uccisi nel solo Messico, che si converte nel paese latinoamericano più rischioso per i giornalisti che perseguono la verità. Subito a ruota si piazza la Colombia, con sei morti, quindi il Guatemala con quattro, l'Honduras e il Brasile con due e infine il Salvador, il Venezuela e il Paraguay con uno. Il continente latinoamericano, dunque, in un contesto di crisi economica globale, negli ultimi dodici mesi ha segnato il passo in materia di libertà di stampa e dei diritti dei lavoratori dei mezzi d'informazione, colpiti da licenziamenti e cassa integrazione. A denunciarlo è la Federazione dei giornalisti dell'America latina e del Caraibi.

Gli omicidi, le aggressioni, sono stati nella maggioranza dei casi legati a casi di corruzione. Le vittime solitamente non sono però direttori o giornalisti di grandi media. Salvo casi eccezionali, vengono uccisi comunicatori di mezzi di informazione locali o comunitari oppure corrispondenti di grandi testate ma inviati in piccole località. L'intento, nel 2009, è stato comunque quello di eliminare la notizia. Per questo, in Messico, Colombia, Guatemala, Honduras, Brasile, Paraguay e Venezuela è stato deciso di "uccidere il messaggero".

Il Messico è in piena crisi umanitaria. I tredici giornalisti assassinati ne sono l'esempio lampante. Dietro c'è un grave connubio tra narcotrafficanti e governo, dato che l'impunità regna incontrastata. Aggressioni, intimidazioni, minacce sono la norma per tutti quei professionisti dell'informazione che si pongono con spirito critico e indipendente. Il risultato è o l'autocensura o la morte. Medesima situazione in Colombia, un paese piegato da una guerra interna cinquantennale, dove sguazzano incontrastati narcotraffico e corruzione. Specialmente nelle file governative. E infatti "è il medesimo governo a minimizzare i crimini contro i giornalisti, l'aumento esponenziale degli attacchi violenti contro i comunicatori sociali e la persecuzione verso giudici e magistrati, di cui è il principale artefice, ma che grazie a una suggestiva campagna internazionale riesce a mascherare e negare", spiegano dalla Federazione. Esemplare del clima che si respira in Colombia è la fine che ha fatto il progetto di legge per depenalizzare il reato di ingiuria e calunnia, che adesso irretisce pesantemente la libertà di stampa: eclissato dai dibattiti sulla seconda rielezione dell'onnipresente Alvaro Uribe.

"In Venezuela, invece, le aggressioni avvengono principalmente dallo Stato - denuncia la Federazione - attraverso attacchi di simpatizzanti del governo ai giornalisti e mediante i mancati rinnovi delle licenze ai mezzi di informazione dell'opposizione o semplicemente critici verso le politiche ufficiali". Questa la posizione della Federacion de periodistas, ma sul Venezuela va precisato che, secondo i dati dell'Osservatorio Internazionale sui Media, la gran parte dell'informazione è privata e apertamente schierata con l'opposizione. Tre quarti dei media non fanno che attaccare il governo di Hugo Chavez, dimenticando di perseguire la verità mantenendo una posizione super partes. Certo il ricorso alla violenza non è mai giustificato, nemmeno nel Venezuela bolivariano, dove si conta un giornalista assassinato negli ultimi dodici mesi.
Sono un centinaio, invece, quelli aggrediti nella Repubblica Dominicana, mentre in Honduras la situazione della libertà di stampa è ormai gravissima. Dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009, la repressione contro i media che si sono mostrati critici contro i golpisti è stata sistematica. Perseguitati anche i giornalisti internazionali accorsi nel paese. Due quelli uccisi.

Un peggioramento si è registrato anche nel democratico Brasile, l'unico paese che contemplava giuridicamente l'esigenza di un titolo professionale per esercitare il giornalismo, sbarramento che avrebbe dovuto garantire una certa qualità all'informazione. Avrebbe, dato che il Tribunale supremo, a cui erano ricorsi le lobby dell'editoria, ha appena tolto il paletto aprendo la strada a chicchessia.

Non va meglio in Perú dove, nonostante non sia siano registrati morti ammazzati tra i giornalisti, le aggressioni superano quelle di qualsiasi paese della regione: 180 casi. Il più emblematico, la chiusura forzata di Radio La Voz di Bagua, emittente indipendente castigata per motivi politici solo per aver reso pubblica la verità su quanto accaduto durante la mattanza per mano della polizia contro gli indigeni amazzonici del 5 giugno scorso.

Ottimi passi avanti invece in Argentina, dove è stata approvata la Legge dei Media, che combatte i monopoli dei mezzi d'informazione. Essendo stata redatta da sindacati, Ong e organizzazioni sociali e coordinata dalla Federazione argentina dei lavoratori della stampa è una legge esemplare per molte realtà.
Qualche gradino è stato salito anche dall'Uruguay, che è riuscito a ottenere la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa.

Non solo il pane viene sprecato: ogni anno cibo buttato per 1 miliardo

Presente le montagne di arance del supermercato imprigionate nelle retine rosse? Basta che un frutto mostri qualche segno di deperimento perché tutto sia buttato nella spazzatura. Gli yogurt vengono gettati quando sono ancora degni di una sana merenda: «Li preleviamo dagli scaffali due giorni prima della scadenza. Tanto non li compra più nessuno», spiegano i direttori dei supermercati. Per non parlare della aragoste che facevano bella vista nei banchi frigo prima di Natale: quelle invendute sono in gran parte finite nella spazzatura...continua

domenica 3 gennaio 2010

Il pane a Milano

Soffocati da una montagna di pane. Bocconcini, sfilatini, michette. Poi arabi, tartarughe, francesini, baguette, ciabatte, filoncini, coppie, crostini e rosette. Fino alla nausea, fino a non poterne più. Al punto da gettare tutto nel sacco nero dopo aver soddisfatto l’ennesimo sfizio. È questa la fine del pane a Milano. I fornai della Madonnina stimano in 5.250 i quintali buttati al mese in città, poco meno di 180 al giorno. Come dire: ogni milanese rovescia nella spazzatura quattro etti di pane al mese. Ipotizzando livelli di spreco uguali nel resto del Paese, in Italia sarebbero 24.230 le tonnellate di pane che ogni trenta giorni finiscono nella spazzatura. Alla faccia della crisi. E del miliardo di persone che, secondo la Fao, soffrono la fame nel mondo. «Bando ai falsi moralismi. Il nostro sistema di produzione, distribuzione e consumo rende inevitabili gli sprechi di molti altri prodotti deperibili. Pensiamo alle enormi quantità di pomodori o arance che vengono distrutte», fa riflettere Sandro Castaldo, ordinario di Marketing all’università Bocconi di Milano. Ma torniamo nelle panetterie milanesi. «Il problema del pane buttato si aggrava di giorno in giorno perché i consumatori sono sempre più esigenti...continua

venerdì 1 gennaio 2010

AIUTI DALL’ITALIA PER LA DENUTRIZIONE

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha) ha dichiarato a Ginevra che in Guatemala 400mila famiglie rischiano di soffrire la fame a causa della siccità che sta colpendo il Centroamerica sin dallo scorso luglio. Per l’assenza di piogge nei mesi di ottobre e novembre, i mesi normalmente più piovosi, non è stato possibile seminare e la raccolta precedente è stata inferiore alle attese del 50-75%. La popolazione nelle aree più colpite si è nutrita con il grano destinato alla semina.

Il Governo della Repubblica di Guatemala l’8 settembre 2009 ha dichiarato lo Stato di Calamitá, esteso per ben 3 volte, l’ultima delle quali l’8 dicembre. La drammaticità della situazione è sottolineata dagli elevati indici di denutrizione acuta rilevati dalla valutazione che la Rete Umanitaria del Guatemala (RedHum) ha eseguito nel mese di Ottobre in 9 dipartimenti del Paese. La RedHum, piattaforma di coordinamento tra Istituzioni impegnate in interventi umanitari, alla quale partecipa attivamente il Programma di Emergenza, ha evidenziato che l’11% dei bambini minori di 5 anni soffre di denutrizione acuta.

Il prolungarsi della crisi alimentare e nutrizionale ha spinto il Programma di Emergenza della Cooperazione Italiana in Guatemala, ad intervenire, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per appoggiare il Ministero della Salute Pubblica e dell’Assistenza Sociale del Guatemala in azioni destinate a migliorare lo stato di salute dei bambini minori di 5 anni affetti da denutrizione acuta severa.