lunedì 30 giugno 2008

La protesta di San Juan Sacatepéquez


Dodici comunità rurali vicino a Città del Guatemala si oppongono alla costruzione di un cementificio che, con la promessa dello «sviluppo», minaccia di distruggere i villaggi. Il governo risponde con lo stato d'emergenza e con decine di arresti.


Nuovi scontri nella comunità di San Juan Sacatepéquez, vicino alla capitale del Guatemala, dove la popolazione vive da mesi una situazione di controllo e repressione da parte delle forze dell’ordine. Da oltre un anno la notizia della decisione di stabilire qui una industria di cemento ha causato una escalation di violenza contro le dodici comunità interessate dal progetto, che si oppongono alla sua realizzazione. La produzione di cemento è un’attività altamente inquinante, che produce considerevoli quantità di residui di lavorazione e mette a rischio le falde acquifere e i terreni circostanti. Il progetto per la costruzione della fabbrica è stato presentato dalla Cementos Progreso, di proprietà della famiglia Novella, tra le più influenti della zona. Le comunità di San Juan Sacatepèquez hanno manifestato la loro opposizione al progetto già in occasione della consultazione comunitaria realizzata nel maggio del 2007 e conclusasi con lo schiacciante risultato di 8,936 voti contrari e 4 a favore. Il diritto alla consultazione preventiva delle comunità, e soprattutto al rispetto dei risultati dei referendum, è sancita dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro e anche nell’attuale Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli indigeni, recepita e ratificata dal governo del Guatemala. Nonostante l’esito del plebiscito, le negoziazioni per l’avvio del progetto e gli studi preparatori non si sono interrotti. Contro il mancato rispetto della decisione popolare, le comunità hanno continuato ad organizzare l’opposizione a quella che vivono ormai come una vera e propria prevaricazione. Il 21 giugno scorso, senza preavviso e senza alcun dialogo con gli abitanti, i macchinari della Cementos Progreso hanno fatto il loro ingresso in dieci delle comunità interessate, provocando la reazione dei cittadini e causando un clima di aspra tensione. Secondo il governo: «Non si può permettere che la maggioranza del popolo di San Juan Sacatepéquez rinunci ad una occasione di sviluppo a causa della manipolazione di una piccola minoranza». In realtà, come dimostrato dal voto popolare del maggio scorso, delle 12 comunità che vivono attorno al rione San Josè Ocaña, non una è d’accordo con la costruzione dell’impianto. L’unica grande pressione in tal senso è esercitata dai potenti interessi economici della famiglia che è dietro al progetto. Per risolvere in maniera coercitiva la questione, il governo ha dichiarato lo «stato di allerta preventivo», favorendo il ricorso a metodi repressivi e violenti da parte delle forze armate di fronte alle proteste legittime e pacifiche della popolazione. In vigore dal 22 di giugno scorso, questa misura ha portato sino ad ora alla detenzione di oltre 40 persone e all’uccisione di un membro delle comunità. Secondo i portavoce delle comunità «questo ricorso alla violenza è inaccettabile e configura una evidente violazione non solo dei diritti di cui siamo titolari come comunità indigene e rurali, ma anche dei più elementari diritti umani». «La difesa della terra e del territorio–aggiungono–è per noi abitanti di San Juan Sacatepequez, una lotta in difesa della stessa vita, della sicurezza dei nostri figli e della società in generale. Siamo consapevoli che se l’industria del cemento sarà costruita non ne andrà solo dell’ecosistema della zona, ma anche della salute dei suoi abitanti e del futuro delle nostre comunità». Per queste ragioni, le comunità hanno chiesto l’interruzione dello stato di allerta e il rispetto dei risultati della consultazione dell’anno scorso e hanno annunciato nuove mobilitazioni per i prossimi giorni, chiedendo alle organizzazioni in difesa dei diritti umani e alla comunità internazionale di intervenire per garantire il loro diritto all’autodeterminazione.


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