giovedì 10 aprile 2008

Diritto all'Acqua




E’ almeno dal 1977, quando la comunità internazionale lanciò il « Decennio dell’acqua 1981-1990» delle Nazioni unite, che è cominciata su scala mondiale la battaglia per il riconoscimento del diritto umano e sociale all’acqua nella quantità e qualità sufficienti per una vita umana decente. Da allora, la mobilitazione «militante» in favore del diritto umano all’acqua è cresciuta in estensione e forza: non si contano più le dichiarazioni a favore del diritto all’acqua ad opera di associazioni ed organismi nazionali e internazionali pubblici e privati. Fra queste, di particolare attenzione sono la risoluzione approvata dal Parlamento europeo [Strasburgo, marzo 2006] e quella, congiuntamente, da rappresentanti del Parlatino [che riunisce i membri delegati di tutti i parlamenti degli Stati dell’America latina], del Parlamento panafricano e del Parlamento europeo [Caracas, giugno 2007]. Purtroppo, la mobilitazione non è riuscita a far cambiare l’essenziale, e cioè il fatto inaccettabile che, ancora oggi, un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,6 miliardi non dispongono dei servizi igienico-sanitari di base [le latrine pubbliche, per esempio], con la conseguenza che 4.900 bambini al di sotto di cinque anni muoiono ogni giorno per malattie infettive dovute all’assenza o cattiva qualità dell’acqua potabile e d’igiene. Ultimamente, era sorta la speranza di poter approfittare del 60esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo [Nazioni unite, 10 dicembre 1948] per riuscire a far riconoscere dall’Onu il diritto umano all’acqua con una dichiarazione ad hoc, aggiuntiva o complemetare a quella del 1948. Diversi governi [tra i quali il tedesco, lo svizzero, l’italiano, il boliviano…], su pressione e/o con il sostegno della società civile, hanno lavorato in questo senso in seno all’organo delle Nazioni unite più appropriato nel settore, che è il Consiglio dei diritti dell’uomo. La speranza è stata «elegantemente» distrutta il 20 marso scorso: il Consiglio, a seguito del veto opposto dagli Stati uniti, sostenuti in ciò dal Canada e da altri Stati, ha deciso di non prendere alcuna iniziativa in occasione del 60esimo anniversario della Dichiarazione universale, il 10 dicembre prossimo. Si è limitato a nominare un relatore con il compito di presentare un rapporto sulla questione fra tre anni. Altrimenti detto, il riconoscimento formale del diritto all’acqua è stato interrato «con tutti gli onori»: se ne riparlerà, se del caso, nel 2011! Molti diranno che la situazione non è poi cosi grave. Tutto sommato quel che conta, al di là di qualsiasi dichiarazione formale sul diritto, sono le misure pratiche prese per assicurare concretamente l’accesso all’acqua per tutti coloro che non ce l’hanno. Vero e falso. Vero, ma sappiamo che si è fatto poco e si annuncia che si farà poco affinché si giunga ad assicurare l’accesso all’acqua potabile per tutti nei prossimi anni. Anzi, si assicura che l’acqua buona per usi umani sarà sempre meno disponibile, che nel 2032 il 60 per cento della popolazione mondiale vivrà in regioni a forte penuria d’acqua, che ci saranno sempre più conflitti fra usi alternativi concorrenti e che assisteremo alle guerre dell’acqua. Falso, perché qualsiasi reale progresso umano e sociale nel campo della giustizia, dell’uguaglianza, della libertà, della solidarietà, della democrazia si è realizzato innanzitutto grazie ai principi consacrati nelle leggi, nei patti, nelle costituzioni. Il rigetto del riconoscimento formale del diritto all’acqua da parte del Consiglio dei diritti dell’uomo, nell’era della mondialità della condizione umana, costituisce un forte regresso sul piano della coscienza morale e dell’etica umana e sociale collettive. Inoltre, accettando l’assenza del riconoscimento formale, la comunità internazionale aderisce alla cultura oggi predominante, che considera non ci siano diritti umani e sociali di per sé ma che essi sono «diritti» storicamente «acquisiti» in determinati «luoghi» e quindi «reversibili» nelle forme e nei contenuti. L’accesso all’acqua, dicono i portatori della cultura dominante, fa parte dei diritti sociali acquisiti e come tale dipende dalle risorse disponibili per finanziare i costi legati all’acqua, costi la cui copertura deve essere assicurata dall’utilizzatore/consumatore in funzione della quantità «consumata». Pertanto, affermano, il «diritto» all’acqua passa attraverso il pagamento: per quanto bassa possa essere la tariffa fissata per i gruppi sociali detti «sfavoriti», anche i poveri devono pagare, non possono pretendere di avere l’accesso all’acqua «gratuitamente»! Come si vede, per i gruppi oggi dominanti il principio che vale è che niente può essere «gratuito» [cioè preso a carico dalla collettività grazie alla fiscalità redistributiva], nemmeno il diritto alla vita. Ecco perché, invece, è indispensabile e necessario riconoscere formalmente il principio del diritto umano [naturale, universale, indivisibile e imprescrittibile] all’accesso all’acqua potabile. La decisione imposta il 20 marzo scorso al Consiglio dei diritti dell’uomo rappresenta un ennesimo schiaffo alla dignità umana ed alla giustizia sociale. Ancora una volta, le logiche della mercificazione della vita e del primato degli interessi corporativi dei gruppi economici dei paesi più potenti, affermatesi sotto il duplice alibi della sovranità degli Stati sulle risorse del paese e della sicurezza economica nazionale, hanno avuto il sopravvento sul principio della vita per tutti e della solidarietà tra i popoli.
fonte: http://www.carta.org/

3 commenti:

nìnì ha detto...

Ciao,una volta ho fatto campeggio libero in sardegna,per avere l'acqua o si doveva andare via mare cioè al porto,oppure andare per un sentiero con le bottiglie vuote dentro allo zaino.Io andava per il sentiero 30 minuti di passeggiata di notte perche' nessuno doveva vedermi la rubavo al club mediteranea,poi carica tornavo indietro,con una bottiglia di 1litro e mezzo mi facevo la doccia e avvanzava per fare un caffè!e' stata una esperienza importante perche' ho capito quanta acqua sprechiamo a casa, certo e' stata faticosa ma lo rifarei semplicemente perche' capisci che per vivere non e' che servono tante comodità!tra l'altro e' stata la vacanza più bella,15 giorni ho speso 150,000,lire,certo rischiavo la multa se mi beccavano perche'ero abusiva, mi sono sempre detta Pazienza io lo faccio, non mi e' successo niente,trane la consapevolezza che la natura e'meravigliosa ci offre tutto, dobbiamo solo essere più rispettosa con lei,non esaurire le sue fonte che non saranno per sempre!Saluti

michela ha detto...

a me il campeggio libero mi mette un pò in difficoltà e non credo che potrei arrivare a tanto per poter capire il vero valore dell'acqua, però mi posso impegnare a bere l'acqua del rubinetto, anche perchè quella in bottiglia costa un botto!
Una volta sono andata al ritorante cinese e ho chiesto l'acqua del rubinetto, il cameriere ha fatto finta di non capire e mi ha portato l'acqua in bottiglia..alla fine sconcertato mi ha portato una brocca d'acqua, osservando curioso l'uso che ne avrei fatto: che pensava che ci volevo innaffiare le piante??!!

Unknown ha detto...

Personalmente, trovo molto deprimente il fatto che i mitici nasoni (le fontanelle che si trovano a roma), siano quasi del tutto inutilizzati; se fate due passi per Roma vedrete moltissima gente che beve dalle bottigliette da 500ml e quasi nessuno che si china a bere alla fontanella.